Immagine generata con Adobe Firefly
Questo pezzo nasce da un evento al quale ho partecipato come speaker sul tema intelligenza artificiale e nuove competenze. Avevo preparato una riflessione su come approcciare paure e timori verso queste nuove tecnologie, quando la realtà dei fatti mi ha restituito qualche immagine diversa.
Ma iniziamo da quello che volevo dire nella mia presentazione.
Quante cose hai fatto da questa mattina?
Tante sicuramente. Magari diverse le avrai fatte soprappensiero, facendo seguire alla precedente una seconda maggiormente probabile.
Un po’ quello che fa l’intelligenza artificiale generativa. Concatena le informazioni in risposta al nostro prompt in base alla massima probabilità di successo ma lo fa con un maggiore velocità, agendo su masse di dati molto estese.
In più la tecnologia, secondo la legge di Kurzweil, evolve in maniera esponenziale e non lineare quindi impossibile starci dietro da comuni mortali. E quindi paura, vero?
La conoscenza tacita
Quando ho questi timori a me piacere prenderla con filosofia, ma non solo come modo dire. Intendo proprio che mi piace farmi ispirare da autori del passato.
E qui ti presento Michael Polanyi, ne hai mai sentito parlare?
Chimico industriale, filosofo della scienza, fortemente attratto dalle organizzazioni aziendali. Una delle sue frasi più celebre dice:
“Sappiamo più di quello di cui sappiamo parlare”.
Nel suo pensiero la conoscenza si divide in explicit knowledge, conoscenza tecnica o procedurale, trasmissibile formalmente tramite algoritmi, codici e linguaggi e poi la tacit knowledge, conoscenza tacita, ovvero modi di fare e di essere che si apprendono dall’esperienza, difficili da trasmettere in forma codificata.
Se stamattina avessi preso un’altra strada o deciso di cambiare totalmente il tuo outfit per un impeto creativo, l’avresti potuto fare.
Se improvvisamente ritenessi arbitrariamente meglio esprimermi in giapponese さあ、日本語で話しましょう? , ovvio non avrebbe senso ma andrebbe bene lo stesso.
L’intelligenza artificiale è una tra le tante
Quindi l’intelligenza artificiale è solo una tra le tante delle quali possiamo disporre: di tipo analitico - matematico, utile ma non di certo superiore, come ci vogliono a tratti far credere.
Abbiamo scoperto da tempo che di intelligenze ne esistono diverse e Goleman ci ha fatto notare come l’Intelligenza emotiva abbia un impatto molto rilevante nella qualità di vita umana, pur non essendo considerata nel computo del QI.
Non possiamo insegnare tutto all’AI
Questo il punto: non possiamo insegnare tutto all’intelligenza artificiale. La leadership, l’intelligenza emotiva, il pensiero critico, la creatività non lineare, l’improvvisazione, l’ironia, l’intuito non prevedibile, solo a titolo di esempio sono ancora di nostro appannaggio.
Magari arriveremo a macchine pensanti come noi ma per ora il mondo ha bisogno di una pluralità di punti di vista e intelligenze, impossibili da delegare totalmente a un algoritmo.
L’AI che può sbloccare il nostro potenziale
Il mio sogno relativamente a lavorare con la GenAI è riassunto nella frase
I want AI doing my laundry and dishes, not my writing
contenuto in un post LinkedIn che girava qualche tempo fa.
La GenAI in qualità di General Purpose Technology coinvolge infatti le nostre vite in maniera molto ampia con l’effetto primario di sollevarci dall’operatività e dalla routine. Cambierà circa il 60% dei lavori, secondo un articolo di International Monetary Fund, con effetto benefico sull’occupazione e produzione nei prossimi 30 anni. Io non ne sono spaventata, anzi mi piace utilizzarla per le mie attività creative o come base di brainstorming quando devo avere l’ispirazione per una presentazione. In questa newsletter no, al momento preferisco metterci il mio stile e scriverla tutta a manina.
Diventerò disoccupata
Tuttavia il personale entusiasmo sull’AI e la voglia di dire la mia all’evento è stato abbastanza bruscamente frenata da coloro che sembra possano parlare legittimamente di AI.
Uomini, dai profili tecnici, riuniti in un capannello di competenze super specifiche.
Non entro in nessun dettaglio dei fatti, ma diversi atteggiamenti mi hanno fatto capire che la mia opinione non fosse propriamente la benvenuta e che c’era un po’ di partito preso nei miei confronti come donna.
Non fraintendermi. Sono abituata a parlare con le persone più diverse, non pretendo nessun attenzione in particolare, mi comporto con rispetto e voglia di capire cosa gli altri possano insegnarmi: ma qui ho sentito un muro di distanza e superiorità presunta.
Allargando il pensiero, ho realizzato allora che di GenAI vedo sempre parlare uomini in discorsi con accezione tecnica ed elitaria. Non c’è mai un How to dalle basi o come integrarla nella nostra vita quotidiana, ma solo una rincorsa all’ultima scoperta.
Non so. Temo sia difficile che l’AI diventi un sapere veramente democratico, se continua a essere privilegio di persone accumunate dallo stesso genere, background di studi, status sociale e cultura.
Anche i modelli predittivi che saranno scoperti saranno tutti permeati degli stessi punti di vista, quindi bias a gogo.
L’AI va innanzitutto insegnata, portata nelle scuole, resa accessibile a tutti con semplicità, in modo che possa essere veramente un game changer nella vita di tanti.
Evento davvero interessante ma l’amaro in bocca mi è rimasto: soprattutto dopo essere stata chiosata con “resterai disoccupata” in qualità di creator, professione sicura vittima della furia della GenAI.
Tecnologia Esponenziale
Battuta non simpatica. Come donna, creator, profilo non tecnico, non adeguata ai canoni femminili, senza un’azienda alle spalle che mi qualifichi, dunque non posso parlare di AI, nemmeno in un campo come quello del futuro del lavoro e nuove competenze, dove so di essere sul pezzo?
Mi consolo pensando che forse, se sono riuscita a passare da un dottorato di ricerca a lavorare in azienda e ora a crearmi una libera professione così multiforme, forse tecnologia esponenziale lo sono anche io e avrò la capacità di reinventarmi ancora.
E lo siamo un po’ tutte come donne, dati i tanti ruoli che quotidianamente impersoniamo.
Siamo pure simili all’AI visto, per esempio, il lavoro di cura che ci si attende venga svolto prevalentemente da noi senza essere retribuito.
Il lavoro di cura non pagato trattiene più di 700 milioni di donne dal lavoro, secondo l’ILO.
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