Sentirsi persi a venticinque anni (e oltre) _ FARO #5
Quanto dura la crisi del quarto di secolo?
Perché crescendo ci sentiamo a disagio
«Il problema è che passiamo troppo velocemente dall'età in cui diciamo “farò così” a quella in cui diremo “è andata così”.» (This must be the place, 2011)
Questa frase torna in mente quando ci sentiamo fuori tempo per lasciare una certezza scomoda ma comunque giovani per non osare nuovi equilibri.
L’inadeguatezza anagrafica cresce confrontandoci con gli altri, come se la regia del ‘‘non ancora’’ ed ‘‘ormai’’ non spettasse alla nostra consapevolezza interiore bensì a una resa dei conti vinta dal diktat sociale ‘‘ma quando ti laurei/ sposi/ figli?’’.
D’altronde, giocando nella cucina finta e rosa di Barbie Stereotipo non potevamo immaginare che quella vera - di una casa in affitto in condivisione, con mutuo e food delivery solo per i più fortunati - sarebbe stata più simile a quella di Strappare lungo i bordi.
Così come speravamo di non restare incinte da adolescenti, e poi in un attimo temiamo di non poterlo più essere per ragioni di salute, economiche o di eco-ansia.
Quando sbocceremo? 🌺
Siamo gli stessi che non vedevano l’ora di essere maggiorenni per andare via di casa ma tra uno sballottamento e l’altro qualcosa è cambiata.
Spesso continuiamo a bussare alle stesse porte chiuse perché non immaginiamo che le nuove possano aprirsi così rapidamente. Eppure, giovani dentro o vecchi dentro poco cambia: in stile Inside Out, potremmo sentirci tristi il giorno del compleanno perché ciò che accomuna le transizioni di tutte le generazioni è la crisi.
L’etimologia greca krísis fa riferimento alla capacità di distinguere e giudicare agendo «scelte, decisioni» (Enciclopedia Treccani).
Dietro ogni scelta sofferta, c’è una non scelta recisa, agita o subita, che racchiude quel disorientamento post adolescenziale definito crisi del quarto di secolo.
La pandemia COVID-19 ha concitato i tempi e forzato le tappe perché ci siamo ritrovati con due anni in più senza accorgerci di averli vissuti, ma il senso di soffocamento e insicurezza verso la prima età adulta è sempre esistito.
Ciò che è nuovo spaventa grandi e piccoli in ciascuna fase del ciclo di vita, ecco perché è normale sentirsi confusi e smarriti di fronte al futuro anche se e SOPRATTUTTO se abbiamo quasi trent’anni.
Opportunità o minaccia?
Il cambiamento mette in moto risorse latenti, ma è frustrante un ingresso nel mondo reale con:
incertezza professionale
ansia da prestazione
difficoltà ad emanciparsi (indipendenza economica)
instabilità relazionale e fatica a realizzare una famiglia
L’ISTAT ha rilevato in Italia 5.725.000 giovani NEET “Not [engaged] in Education, Employment or Training”, tra i 15 e i 34 anni a maggio 2023. Tra questi, nel dettaglio, 4.259.000 hanno tra i 15 e i 24 anni, mentre i restanti 1.466.000 rientrano tra i 25 e i 34 anni.
Tra tutti gli Stati dell’Unione Europea, l’Italia risulta il paese con più NEET (19%) senza impiego e che non lo cercano (disoccupati e inattivi); non impegnati neanche in attività formative (tirocini, apprendistato e corsi professionalizzanti).
In questo senso, il progetto esistenziale personale e professionale ‘‘dei sogni’’ di quando ‘‘saremo grandi’’ fa presto i conti con la traumatica disillusione feroce soprattutto tra i 25 e i 35 anni (Oliver Robinson, Greenwich University di Londra) attraverso:
nostalgia del passato
abbandono delle sicurezze adolescenziali
mancanza della famiglia (soprattutto da fuorisede)
difficoltà a trovare un lavoro gratificante
relazioni altalenanti
conflitto tra intimità e indipendenza affettiva
ansia economica, ambientale e sociale
pressioni individualistiche e capitalistiche
Come concentrarci sui segnali positivi
Quando al mercato o in un luogo caotico siamo bombardati da un sovraccarico di stimoli questi sembrano sfuggirci. Però, se cerchiamo un oggetto con caratteristiche particolari facciamo meno fatica a discriminare il resto per trovarlo: è una questione di attenzione selettiva.
Questo significa concentrarci soprattutto sui segnali neutri o di non pericolo e non solo su quelli negativi - comunque presenti!
Avere una traccia ben definita di un obiettivo può aiutarci a raggiungere affiliazione, successo e potere (David McClelland), purché non confondiamo la forma con la sostanza e traiamo valore da ciò che succede nel mezzo.
La matrice di Eisenhower (tabella sotto) è utilizzata per la gestione del tempo e della leadership. Magari, potrebbe aiutarci anche a non procrastinare di fronte alle situazioni di stallo in genere:
Sì, possiamo affrontare la crisi
Significativo è anche l’impatto delle persone che frequentiamo, poiché le norme del gruppo di riferimento orientano il nostro comportamento quotidiano (Robert King Merton).
Ciascuno di noi contribuisce a costituire reciprocamente la personalità delle persone più vicine, in termini di strategie di sopravvivenza e valori.
In pratica, osservare quello che fa chi è simile a noi ha un’ influenza.
L’impatto del farci forza a vicenda con empatia ci rende solidali, facendoci imparare per contrasto dalle condizioni spiacevoli con contro-norme e contro-aspettative.
Sarebbe semplicistico pensare che stando con lo zoppo impariamo a zoppicare, ma è probabile che per attrare situazioni positive ci fa bene frequentare persone attive e solari. I nostri neuroni sono già programmati per attivare svariati tipi di emozioni: a noi scegliere quale può aiutare noi stessi (e quindi gli altri).
Il concetto di Ikigai ricorre spesso nella Psicologia del benessere: quanto ci motiva pensare di risolvere i dilemmi interiori interpretando meglio l’esterno? Magari, proprio tendendo a quel piccolo rifugio che sappia ispirarci PER ORA, non necessariamente per sempre.
In fondo, tra i Link utili ecco qualche suggerimento per (tornare a/iniziare a) vivere con leggerezza ciascuna emozione facendo pace con il Peter Pan che è in noi.
Chiedi alla Zia!
Ogni mese rispondo qui a una domanda che mi è stata fatta sui social.
Scrivimi anche tu i tuoi dubbi!
🚨 Domande scomode
Matteo: ‘’Il pensiero delle vacanze mi stressa. Da piccolo soffrivo il caldo e dormivo tutto il giorno; da grande non ho voglia di tornare dai miei e trovo scuse. O meglio, forse non voglio perché quando sono con loro torno adolescente e vado in crisi esistenziale. Per non parlare dello shock da rientro traumatico al lavoro a Milano. Mi sento in colpa perché non so gestire il tempo libero.’’
Ci sono bambini che hanno voglia di tornare a scuola solo perché non conoscono altro dalla scuola, neanche l’oratorio e il centro estivo. Figuriamoci le vacanze studio nei college altisonanti per il quarto anno all’estero: dormono perché non pensano di potersi divertire.
Eppure, non avere troppe risorse può smuovere una spinta interiore significativa, un fuoco. In pratica, come quando impari a cucinare perché il food delivery costa troppo e poi ti diverti come chef coi coinquilini!
Capisco che il feed estivo delle vite degli altri può stordirci, ma se anche noi potessimo scegliere che vita vivere (in parte possiamo) dove saremmo?
Viaggiare ci spaventa perché sappiamo in anticipo di dover tornare al punto di partenza – sempre che poi lo si voglia ancora. Però, se smettiamo di auto sabotarci, possiamo capire come affrontare quelle responsabilità che speravamo di rifuggire fino ‘’a settembre’’. I sensi di colpa del tipo ‘’abbiamo studiato tutta la vita per questo lavoro’’ e ‘’siamo privilegiati rispetto a chi un lavoro non ce l’ha’’ pesano più di un tentativo che ‘‘sei poi non funziona’’?
Immagina di fare fatica a trovare un lavoro. In questo caso, non sperimenteresti la qualsiasi? Prova a usare le vacanze per immaginare e progettare, pur avendone già uno al rientro. Mi sembra più concreto di guardare dalla finestra gli altri, idealizzandoli. E certo che aprirsi coi parenti può pesarci, ma il tempo in famiglia non ritorna e, magari, possono anche aiutarci dato che in fondo ci hanno (solamente) visti crescere e accompagnati per più tempo più di chiunque altro!
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Solo link utili!
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E, come sempre: in bocca al lupooo! 🐺🌈
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