Immagine ottenuta con Adobe Firefly
Nell’ultima settimana ho avuto:
Decine di persone a declamarmi i loro stipendi nell’indefinito Estero,
Orde di post sul tema “Un laureato in Italia prende 1.400 euro mentre all’Estero 2.100” con anche un attacco diretto dove mi si accusava di convincere le persone a restare in Italia,
Una video sentenza di una giornalista che, con dovizia di dati, mi ha ricordato come l’Italia stesse messa male, partendo da un mio video dove dicevo che l’Estero non fosse solo l’enunciazione dello stipendio. Dalla stessa persona sto ancora attendendo una cortese risposta per un confronto pubblico. Arriverà?
Se no, peccato 😩 (cavoli è già la seconda volta che mi paccano questi giornalisti!).
COSA STO CERCANDO
Vorrei solo fare chiarezza sulle condizioni lavorative e di vita offerte dai vari Paesi, andando oltre la retorica de ✨LESTERO✨ come Bengodi indefinito.
Ripeto per l’ennesima volta:
➡️NON sto negando i mali italiani,
➡️NON sto dicendo che fuori le condizioni non possano essere migliori.
Semplicemente, quando di qualcosa sento solo lodi infinite, mi scatta la voglia di andare oltre il proclama.
Non è stato facile avere info complete. I social negano il confronto e amplificano la polarizzazione: tra chi vive fuori, alcuni prendono la mia richiesta di “raccontami gli alti e bassi” come attacco personale, quasi come se mettessi in dubbio la loro scelta.
Il racconto, quando arriva da queste persone, prende i tratti di una dottrina piena di risentimento verso l’Italia, affermazione di sé, idolatria verso il Paese ospitante.
Fortunatamente ho incontrato persone più equilibrate, che mi hanno esposto la loro vita all’Estero con attenzione agli stipendi alti ma anche a costo della vita, crisi degli affitti, difficoltà ad integrarsi, cultura del lavoro e tempo libero.
OLTRE LO STIPENDIO
La nostra vita è composta da tante dimensioni (piramide di Maslow docet): i soldi sono importantissimi ma si accompagnano anche altre necessità.
Valutare solo il numero dello stipendio è come valutare mele con pere: quello che ci offre un Paese come condizioni di vita va oltre una singola cifra o dato aggregato.
Ecco i fattori che considererei io:
🔵STIPENDIO MENSILE: Il dato preferito per far scalpore ma quello più inutile. Perché lo valutiamo con il punto di vista della vita italiana.
Nemmeno la presenza di salario minimo aiuta a dire “Oh caspita come pagano bene!”. In Lussemburgo, per esempio, questo parte da 2.570 euro, tuttavia il 17,5% delle persone è sotto la soglia di povertà in questo Paese. Quindi, con quello che inizia ad essere uno stipendio da quadro a Milano, fai una vita al limite dell’accettabile in Lussemburgo.
🔵PIL procapite o RAL media: Dato di maggiore utilità, se unito a indicatori come il coefficiente di Gini per capire la distribuzione della ricchezza. Si evitano così situazioni come il Sud Africa dove, tra poveri e ricchissimi, manca quasi del tutto la classe media. Bisognerebbe poi distinguere le RAL medie delle singole città, visto le sostanziali differenze che si incontrano nei redditi.
🔵PRESSIONE FISCALE: In Italia gli stipendi che non crescono da più vent’anni sono un problema. Non abbiano un’Indexation, come per esempio in Belgio, per riadattare gli stipendi all’inflazione e questo fa sì che le nostre paghe non stiano dietro al costo della vita.
L’altra nostra problematica è l’altissima pressione fiscale: la quinta più elevata tra i Paesi OCSE. Anche se il lordo non è poi così basso, tra tasse e contributi, quello che ci rimane è meno che in altri Paesi.
Per esempio, con 26k di RAL in Irlanda avremo circa 1.930 euro al mese per dodici mensilità, in Italia ne rimarranno 1.515. Aggiungo che, avendo di solito tredici o quattordici mensilità, quello che vedremo come netto in busta sarà una cifra ancora minore. Un buon strumento per rendersi conto di tali differenze è Salary After Tax.
🔵PREVIDENZA E STATO SOCIALE: La maggior pressione fiscale e previdenziale dovrebbe giustificare maggiori servizi, assistenza e sanità gratuita. Così almeno in teoria, poi lo sappiamo che va a integrare anche l’evasione fiscale ma, per il momento, su questo discorso mi fermo qui.
La spesa per assistenza e sanità, tuttavia, non è la stessa ovunque. Le scelte di alcuni Paesi europei si orientano verso fornire un minimo e poi lasciare il resto a carico del cittadino o del welfare aziendale.
In Olanda, per esempio, la sanità segue un po’ il modello americano e richiede la sottoscrizione di una polizza base di almeno 140 euro al mese per il medico e alcuni servizi sanitari.
In Svizzera la sanità è pressoché privata mentre in Lussemburgo è solo pubblica e ti rimborsano le spese all’invio della fattura cartacea.
In Irlanda, il contratto di lavoro standard ha 5 giorni di malattia pagati all’anno fino a 110 euro/giorno, hai diritto solo alla Social Pension che copre circa 1000 euro al mese. Per i lavori più umili questo significa che, anche guadagnando circa 2.000 euro di minimum wage, avrai poche tutele, sarà difficile potersi pagare un’assicurazione sanitaria (tariffe da circa 300 euro al mese con franchigie a carico tuo su alcune prestazioni), dovrai pagare dai 45 ai 65 euro per le visite dal medico e 100 per l’accesso al pronto soccorso.
Sull’attenzione e il sostegno alla genitorialità invece potremmo imparare da Olanda e Germania con assegni mensili per ogni figlio fino ai 18 anni, congedi parentali più lunghi e divisi tra i due genitori e grande raccordo tra scuola e lavoro.
🔵COSTO DELLA VITA: Il mio indicatore preferito perché riesce a metterti le cose in prospettiva. Un sito molto utile per orientarsi è Numbeo che permette anche di fare paragoni. Al costo della vita dovrai aggiungere, come detto sopra, anche la necessità di assicurazioni aggiuntive, spese per viaggi per tornare in Italia ed eventuali spostamenti da/per il lavoro. In Lussemburgo, per esempio, costi altissimi ma, almeno in questo, mezzi pubblici gratuiti.
🔵CRISI ABITATIVA: Situazione comune in tutte le grandi città che attraggono persone ma che gonfiano i costi di mercato per l’affitto. Difficilmente se ne salva una tra le principali città europee. I rischi? Oltre ad avere prezzi in salita costante potrebbero esserci: tempistiche molto lunghe per trovare un alloggio, affitti negati a Internationals come accade ad Amsterdam o a Vienna, truffe come in Danimarca dove affittano case prese su AirBnB oppure condizioni inique dell’immobile come studio in Francia di 12mq oppure, in Irlanda, ricavato in un garage.
Riguardo a quest’ultimo Paese, mi è stato pure detto che l’abitudine è quella di “fare aste” sui prezzi degli affitti esposti per aggiudicarsi il locale.
Il consiglio? Muoversi con molto anticipo, cercare su siti ufficiali dedicati agli affitti oppure su gruppi Facebook di italiani presenti in quella città (si augura siano tutti onesti).
🔵TUTELA DEL LAVORO: Non siamo abituati a sentircelo dire ma, in Italia, il lavoro dipendente è molto tutelato, anche solo per la conservazione del posto per un tempo molto lungo quando si è in malattia. Si potrebbe fare di meglio - vero - , tuttavia certi diritti li riconosciamo solo quando non li abbiamo più.
Sono i casi di Svizzera, UK e Irlanda dove, anche con un contratto permanent, puoi essere lasciato a casa con molta facilità oppure in USA dove il maternity leave dura 12 settimane NON PAGATE.
In Irlanda, UK e altri Paesi è possibile lavorare anche come Contractor, ovvero “finte” partite IVA, simili ai nostri vecchi co.co.co. A fronte del fatto di avere meno tutele, sicurezze e stabilità sul lungo periodo, vengono corrisposti compensi fino al doppio di un normale dipendente. La scelta in questo caso è anche valoriale dato che, in caso di crisi o cambi di business dell’azienda, i contractor sono i primi a saltare. Da considerare anche le richieste verso questi ruoli.
🔵CULTURA DEL LAVORO: Quando studi giapponese, ti insegnano termini 残業 Zangyō “lavoro straordinario” oppure 飲み会 Nomikai “l’obbligo di andare a bere con capi e colleghi dopo il lavoro” come normali componenti della vita lavorativa aziendale. Con la sensibilità di ora, la vita del salaryman risulta decisamente “tossica”, senza considerare il maschilismo e il nazionalismo che ancora permea la società.
Il fit con la cultura del lavoro dipende molto da come siamo e cosa cerchiamo.
Se per esempio, il nostro obiettivo è fare una carriera verticale, allora forse Polonia e Repubblica Ceca dove si concentrano la maggior parte degli shared services delle multinazionali, quindi compiti molto operativi, non saranno magari la scelta migliore.
Dalle testimonianze, le cultura lavorativa del nord Europa, Irlanda, UK ma magari non Londra, mi sono state raccontate come le più gentili e rispettose degli altri.
Per i Paesi scandinavi, Olanda e Irlanda plauso per l’attenzione alla salute mentale e diritti LGBT+.
Praga mi è stata segnalata come fantastica per un’esperienza temporanea da expat per via delle numerose persone internazionali concentrate in business center modernissimi.
Barcellona, forse la migliore per la cultura italiana, con un mix tra mare, servizi, efficienza e orari ridotti in estate.
In ultimo, anche attenzione alla lingua da usare per il lavoro: in Olanda tranne le multinazionali, la richiesta dell’Olandese sta diventando centrale. In Francia, lo sappiamo, la lingua francese è prioritaria.
🔵SOCIETÀ, RELAZIONI E CLIMA: L’ultimo punto guarda molto più lontano, a chi immagina di trascorrere a lungo la vita in un altro Paese.
A questo punto le storie prendono ognuna delle strade personali. Il Paese smette di essere solo WOW e diventa un compromesso tra le nostre origini, la nostra personalità e le caratteristiche del posto dove viviamo.
Non ho dati ma solo osservazioni accumulate negli anni. Chi rimane tanti anni in un Paese lo fa se riesce a crearsi un nucleo di affetti: sposando una persona locale, portando il partner, facendo comunità con altri immigrati, crescendo i figli in quel Paese.
La vita da expat, a detta di molti, espone a tanta solitudine e a relazioni non durature.
Dopo l’iniziale entusiasmo per la novità, diverse persone si iniziano ad accorgere della fatica ad integrarsi con i locals, dell’etichetta di “straniero che non riesce a pensare come noi” che limita la crescita in azienda oppure della necessità di parlare la lingua del posto.
Alcune stati come per esempio il Lussemburgo, offrono poco in termini di vita sociale e tempo libero: questo espone a weekend da spendere in viaggi oltre a quelli per tornare a casa.
Anche il clima può influire e non è la retorica della pizza, mamma e mandolino. Le condizioni del Mediterraneo al quale diversi di noi sono abituati, mal si rimpiazzano con quelle oceaniche o nordiche fatte di cambi repentini, inverni dove la notte arriva alle tre del pomeriggio e temperature costanti sotto zero. Magari leggerlo ora a fine Luglio con 36 gradi ti fa pure piacere, magari trovandocisi, anche no.
Per concludere, lascio le parole di C. una mia follower che vive in Svezia da più di vent’anni:
Vivere all'Estero per tanti anni significa acquisire un'identità sdoppiata. Per alcuni sei e sarai sempre l'Italiano, per altri sarai quello che "vive fuori e non capisce come funziona qui". lo personalmente ho fatto di questo "sdoppiamento" un asset, ma molti lo vivono come un peso.
Per vivere e trovarsi bene fuori bisogna avere grande spirito di adattamento e molta umiltà. Chi non ce l'ha, rischia di vivere in una bolla e di sprecare molte occasioni.
Per inserirsi bisogna lavorare molto su se stessi, sulle relazioni, imparare la lingua, etc. Spesso bisogna distaccarsi emotivamente dalla propria famiglia di origine, dai luoghi e ricordi dell'infanzia.
Tanta fatica, impegno e anche un po' di sofferenza. Questo vorrei rispondere a tutti quelli che mi dicono "Beata te che vivi fuori!"
Io appoggio in tutto e per tutto un’esperienza all’Estero per il suo valore formativo oltre che per l’impatto sul proprio curriculum. Io stessa ne sono testimone visto che, senza i soggiorni in Giappone, non sarei stata minimamente notata qui a Milano.
Il giudizio su quest’esperienza però dipende da dove si parte, cosa si cerca, i propri obiettivi e magari il momento della vita nel quale ci troviamo.
“Eh ma stanno andando tutti!! Pochi tornano.” In questo mi permetto di dire che una statistica evidenza una tendenza ma il dato non è la singola persona, libera di seguire la massa o diventare un outlier. In entrambi i casi la sua scelta esisterà e avrà una ragione.
La scelta di partire/restare/rimanere a lungo/ritornare in Italia è solo ed esclusivamente una decisione personale, lungi da noi vederla come una vittoria/un fallimento o un obbligo.
Ogni commento educato è più che gradito.

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