LA SINDROME DELL'IMPOSTORE - FARO #39
Prima o poi se ne accorgeranno che non sono così capace
Immagine generata con Adobe Firefly
Fabiana: Non sono una persona sicura di sé. O meglio, quando sono nel mio lavoro, so come comportarmi e ottenere il meglio. Quando si esce dal perimetro della mia singola attività, le “vite possibili” che intravedo negli altri, mettono in dubbio la mia. Sull’argomento ci ho dedicato di recente pure un reel.
Il mio percorso illineare che, da un lato mi ha reso capace di creare una professione così peculiare, ha un’altra faccia: quella delle rinunce, delusioni e persone che ho perduto. Alle quale vorrei chiedere “scusa, ma la mia vita è andata così”.
Spesso quando pretendiamo troppo da noi, siamo i più tremendi a giudicare.
Per questo, assieme a Sara, approfondiamo oggi…
La sindrome dell’impostore
Ho scritto questo articolo con grande difficoltà: mi sono fermata e criticata, ho procrastinato, ho chiamato amici in lacrime, ho perso il conto di quante volte bloccata davanti al PC l’ho chiuso disperata sentendomi incapace di scrivere e mettendo in dubbio le mie competenze.
Per fortuna, in questo periodo difficile, la curiosità non mi ha abbandonata e ho iniziato a fare ricerche per capire cosa mi stesse succedendo. Avevo sentito parlare della sindrome dell’impostore senza approfondire, certa (e mostruosamente inconsapevole) che fosse qualcosa che non mi riguardasse.
La teoria
Il nome scelto dalle psicologhe Pauline Rose Clance e Suzanne Imes che per prime nel 1978 lo hanno riconosciuto e studiato, è imposter phenomenon, perché non riguarda una condizione clinica ma ha a che fare con lo sperimentare un insieme di molteplici fattori critici:
pensare che le altre persone abbiano una visione esagerata delle nostre capacità;
ritenere di non essere all’altezza del proprio ruolo e dei progetti che si seguono;
sensazione di inadeguatezza, a dispetto di successi tangibili e riconoscimenti esterni;
la paura di essere smascherati come degli impostori;
la continua tendenza a sminuire i propri successi.
La sindrome dell'impostore è spesso legata alla nostra identità e al senso di autostima. Sono però decisivi anche i fattori esterni: le ultime ricerche evidenziano che determinati tipi di contesti molto competitivi possono indurre le persone a mettere in dubbio il proprio valore e le proprie abilità.
La sindrome dell'impostore si manifesta tipicamente quando decidiamo di assumere nuovi ruoli, nuove responsabilità, scegliamo un percorso di studi difficile e può portare a dubitare continuamente delle proprie competenze, non chiedere promozioni o sfruttare le opportunità, può avere problemi a parlare in pubblico o a stringere rapporti autentici con i colleghi.
Ha un impatto negativo sulle prestazioni lavorative perché chi sperimenta la sindrome dell'impostore può finire per ossessionarsi per piccoli errori, lavorare il doppio per dimostrare il proprio valore e compensare le paure. A lungo termine può avere conseguenze come burnout, ansia generalizzata e depressione.
L’esperta
Dopo aver studiato e letto con attenzione le abbondanti informazioni che si trovano in rete (tra le risorse più utili, il libro gratuito Siamo Tutti degli Impostori di Raffaele Gaito e quelle del sito internet dell’ Imposter Syndrome Institute di Valerie Young, un'esperta che ha costruito la sua carriera studiando e aiutando migliaia di lavoratori ad affrontare la sindrome dell'impostore), sono passata a cercare soluzioni.
Decisa a superare il mio blocco e a scrivere questo articolo, che spero possa aiutare anche altri a superare i sentimenti distruttivi che il fenomeno dell’impostore genera, ho contattato Beatrice Redi, una career coach esperta di Intelligenza Positiva® e Chief Happiness Officer.
Due anni fa ho partecipato al PQ Program, un programma di sei settimane, grazie al quale imparare a ridurre lo stress e allenare il benessere mentale. Riuscivo a riconoscere che la sindrome dell’impostore era collegata ad un basso livello del mio PQ® (Quoziente di Intelligenza Positiva®) ma da sola non riuscivo a zittire le voci che producevano stress, ansia, rabbia, dubbi su se stessi, frustrazione, irrequietezza e infelicità, e mi ostacolavano, sabotando le mie prestazioni lavorative e, in generale, il mio benessere.
Ho chiesto aiuto a Beatrice, una delle pochissime coach a portare il programma PQ in Italia, dove lo propone sia in italiano che in inglese, per tornare ad usare i poteri della parte più saggia di me che hanno a che fare con empatia, curiosità, visione e azione e che permettono di affrontare le sfide della vita con maggiore efficacia.
Le strategie
Ecco un elenco di strategie, in buona parte ispirate da Beatrice, per superare la Sindrome dell’Impostore:
Riconoscere quello che proviamo. Il primo passo verso un cambiamento significativo è osservare queste emozioni negative che limitano il nostro successo e la nostra felicità senza giudicarsi, capire quando e perché emergono, riconoscendo elementi che le scatenano e schemi ripetitivi.
Ridefinire il concetto di successo. Chiarire qual è la propria definizione di successo, portando l’attenzione dalla validazione esterna alla soddisfazione personale e al concetto di crescita e di proattività. È inoltre utile indagare se abbiamo delle aspettative irraggiungibili. Uno dei sabotatori identificati dal programma PQ® è proprio l'Hyper-achiever, quella parte che ci spinge a credere che saremmo felici solo quando raggiungeremo il traguardo successivo.
Accettare la propria vulnerabilità. Condividere quello che proviamo a causa del fenomeno dell’impostore con colleghi e amici, in contesti quanto più protetti possibili, aiuta a sbarazzarsi dei pregiudizi che ci impediscono di parlare apertamente delle proprie difficoltà e a scoprire quanto questo fenomeno sia diffuso. Nel suo celebre TED Talk di Valerie Young riporta che secondo le ultime ricerche il 70% delle persone sperimenta almeno un episodio di sindrome dell’impostore nell’arco della vita e che parlarne è un inizio, ma da solo non basta.
Identificare i propri punti di forza. Valerie Young incoraggia a riconoscere intenzionalmente i nostri successi e le nostre capacità. Per farlo, inizialmente se proprio non ci siamo abituati, può essere utile chiedere a persone delle quali abbiamo fiducia di darci dei feedback onesti e sinceri. E riflettere su domande come: "Cosa ho fatto che mi fa sentire capace?" o "Se una me più giovane potesse vedere la mia vita ora, di cosa sarebbe orgogliosa?".
Celebrare i propri successi. Troppa umiltà può fare male. Prendere l’abitudine di celebrare i propri successi, anche se piccoli, è invece fondamentale perché rende esplicita la connessione tra il proprio impegno personale e i risultati ottenuti (che non dipendono dalla fortuna o da uno sbaglio di valutazione altrui). Inoltre quando riconosciamo le nostre vittorie, indipendentemente dalle loro dimensioni, il nostro cervello rilascia la dopamina, un neurotrasmettitore che ci motiva a realizzare ancora di più. Grazie a Beatrice, che ne è una facilitatrice, ho scoperto il movimento globale #IAmRemarkable che riconosce il potere trasformativo dell’autopromozione e incoraggia le persone a celebrare i propri traguardi sia sul lavoro che in altri contesti.
Apprendimento continuo. Se percepiamo la vita e la nostra carriera come un percorso durante il quale possiamo imparare continuamente nuove cose, diminuisce la pressione di essere un “esperto” o il “migliore” e si fa spazio alla crescita e alla compassione verso se stessi.
Superare il perfezionismo. Commettere errori è inevitabile, in qualsiasi ambito della vita. Secondo il programma di Intelligenza Positiva®, non esiste l’idea di fallimento, se si impara da questi errori. Per il saggio, la parte di noi con cui riusciamo ad affrontare le sfide della vita in modo efficace e senza essere vittima dello stress, tutte le circostanze negative possono essere considerate opportunità di crescita e di apprendimento. .
Utilizzare i social media con consapevolezza. I social media possono alimentare la sindrome dell'impostore. A seconda dei contenuti che si scelgono di vedere, c'è il rischio di seguire persone (influencer che conducono vite fasulle) che potrebbero contribuire a sentimenti di inadeguatezza e bassa autostima.
Adesso voglio continuare a mettere in atto queste strategie, ricordandomi ogni giorno che è più importante crescere e andare avanti che essere perfetti.

Sara Martinelli
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